Scrive Melville in una delle sue lettere:

"io amo tutti gli uomini che si tuffano, che s'immergono con la testa. Qualunque pesce sa nuotare vicino alla superficie, ma ci vuole una grossa balena per scendere 8000 metri e più".


Andare in profondità, immergersi, sono i punti di vista più interessanti da dove guardare non solo alla disabilità, ma ci consente di osservasre tutte le cose che ci circondano in un modo diverso. Ed è quello che stiamo cercando di fare, in modo non pretenzioso: dare una sbirciatina sotto la superfice delle cose.
Gli spettacoli del laboratorio teatrale din don down non nascono mai a "tavolino", ma durante un percorso che insieme facciamo nei nostri incontri, ed è questo un altro punto in comune con il capolavoro di Melville: la prima cosa che si deve capire di Moby Dick è che, come noi, non è stato un processo creativo "controllato" . Vale a dire che non nacque da un progetto limpido e consapevole, ma crebbe in certo modo sotto la penna di Melville, cambiando per strada fisionomia, struttura e ambizioni. Per quello che ne sappiamo è probabile che in origine Melville avesse giusto in mente un'avventura di mare come ne aveva già scritte, con successo: il gigantismo del libro, così come la sua vertiginosa metamorfosi in allegoria solenne e altissima, fu qualcosa che Melville dovette capire per strada: una possibilità che gli spalancò davanti quasi d'improvviso, e che lui ebbe
il coraggio di non rifiutare.


Questa sfida accompagna da diversi anni l'approcio creativo del laboratorio teatrale din don down ed ecco quindi che la sfida si rinnova anche difronte a questo enorme capolavoro, ormai entrato di diritto nella letteratura mitologica. Questa grande opera non la si può leggere se non si ha a mente la Bibbia e si vedrà come quello che potrebbe anche parere un curioso romanzo d'avventura, si svelerà invece per un vero e proprio poema sacro. Dal primo estratto di citazione "E Dio creò grandi balene" fino all'epilogo, di Giobbe "E io solo sono scampato a raccontarvela". E' tutta un'atmosfera di solennità e severità da Vecchio Testamento, di orgogli umani che affrontano il divino (tema caro al laboratorio e già incontrato nella precedente produzione "M").


Naturalmente e come ogni grande poema mitico si rivolge e si specchia nella nostra epoca contemporanea: Il capitano Achab insegue Moby Dick per sete di vendetta, è chiaro, ma, come succede in ogni infatuazione d'odio, la brama di distruggere appare quasi una brama di possedere, di conoscere, e nella sua espressione, nel suo sfogo, non sempre è distinguibile da questa. Se poi ricordiamo che Moby Dick assomma in sè la quintessenza misteriosa dell'orrore e del male dell'universo, avremo senz'altro capito come può essere uno specchio dell'oggi (si pensi al pensiero ossessivio dominante di tutte le dittature, alle brutture compiute nel nome delle religioni, ecc).

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